Tesi programmatiche
1. Materialismo storico
Desiderare la rivoluzione è intuitivo. È sufficiente aver sperimentato la violenza di questo sistema in una delle sue varie forme e aver prospettato, in modo effimero o con consapevole determinazione, la necessità di una trasformazione radicale delle cose. D’altra parte, agire come rivoluzionari non è intuitivo. Significa mettere i piedi su una realtà sociale che ci appare capovolta per sapere non solo come porre fine a questo sistema, ma soprattutto cosa significa porvi fine. Per questo il metodo con cui interpretiamo il funzionamento della società è fondamentale.
Il materialismo storico comprende lo sviluppo delle società umane sulla base del concetto di modo di produzione, ossia l’idea che possiamo comprendere una società, le sue istituzioni, le sue espressioni culturali, religiose e ideologiche solo in base al modo in cui produce e riproduce la sua vita materiale, ai mezzi che utilizza e al modo in cui i suoi membri si organizzano per farlo. In breve, l’essere sociale e storico determina la coscienza.
Il modo di produzione definisce la totalità sociale. Le sue contraddizioni intrinseche segneranno lo sviluppo storico della società. Nel capitalismo, l’incapacità di superare queste contraddizioni, sintetizzate nello scontro tra le forze produttive e i rapporti sociali di produzione, dà origine al modo di produzione successivo, il comunismo, in modo catastrofico – cioè non gradualmente o in una curva di ascesa e decadenza. Tuttavia, non appare dal nulla: la transizione a un nuovo modo di produzione non avviene senza che i suoi presupposti storici, le condizioni del suo emergere, siano stati gestiti in precedenza. Così il capitalismo, il modo di produzione più distruttivo e alienante che la nostra specie abbia mai conosciuto, prepara tuttavia le basi materiali per il comunismo.
2. Capitalismo
Il capitalismo è il modo di produzione per eccellenza delle società di classe, presente oggi in tutto il pianeta. Non è come se il capitalismo fosse un sistema economico, che si accompagnerebbe o si intersecherebbe con altri sistemi di dominio come quello razziale, di genere o tecno-industriale. Il capitalismo é il modo in cui la società produce e riproduce la sua vita – in tutti i suoi aspetti – sulla base della produzione di merci. Che lo scopo sociale sia la produzione di merci e non di beni destinati a soddisfare i bisogni non è banale: induce un automatismo in cui le relazioni sociali assumono la forma di cose e in cui il movimento dei prodotti determina il movimento e la vita dei produttori. La realtà è invertita: è il feticismo delle merci.
La natura internazionale del capitalismo si esprime in termini di nazioni in competizione tra loro per il mercato mondiale e il predominio politico-militare che ne deriva. In altre parole: si esprime in borghesie nazionali che competono tra loro per una quota maggiore del plusvalore sfruttato dal proletariato mondiale. Come ogni lotta, ci sono nazioni più forti e nazioni più deboli. La dimensione internazionale del capitalismo è frammentata e gerarchica, ma questo non significa che ci siano nazioni oppresse e nazioni oppressori, ma solo nazioni che ottengono risultati migliori di altre nella competizione globale. Questa configurazione rende il nazionalismo e il razzismo una caratteristica strutturale del capitalismo. Inoltre, rende ogni Stato imperialista e la guerra tra Stati un prodotto necessario e permanente del sistema.
Il capitalismo è l’ultima società di classe: presenta continuità e discontinuità con le precedenti. L’emergere della proprietà privata e delle classi sociali ha richiesto una struttura patriarcale di riproduzione, la cui cellula di base è la famiglia e in cui il controllo del corpo delle donne è fondamentale. Il capitalismo, in quanto società di classe, continua ad avere una struttura patriarcale, ma la riproduce secondo la sua logica mercantile e astratta, che separa produzione e riproduzione, spazio pubblico e privato, e fa del biologico un ostacolo alla produzione illimitata di valore o, nel migliore dei casi, un costo da sostenere nei suoi conti economici.
Pertanto, un modo di produzione che ha trasformato gli esseri umani in una merce non può essere meno distruttivo per l’ambiente naturale. Più il capitalismo si sviluppa, più aumenta la sua capacità produttiva, più manodopera espelle e più materie prime ed energia richiede nella sua produzione: in breve, lo sviluppo del capitalismo è accompagnato da un aumento della miseria sociale (popolazione in eccesso) e dalla rapida distruzione del mondo naturale, minando così le basi stesse della nostra esistenza come specie.
Alla base di ciò c’è l’esaurimento del valore. L’alto grado di socializzazione e di sviluppo delle capacità produttive raggiunto da questo sistema rende storicamente obsolete non solo le categorie specifiche del capitalismo (valore, merce, lavoro salariato), ma anche quelle che hanno costituito l’ossatura dei modi di produzione di classe (proprietà privata, famiglia, Stato). Tuttavia, questo esaurimento non implica un lento declino verso un nuovo modo di produzione, ma piuttosto aumenta le conseguenze catastrofiche del perseverare in esso: poiché le forze produttive non possono smettere di crescere, la loro contraddizione con i rapporti di produzione – cioè la contraddizione tra una produzione sempre più sociale e un’appropriazione privata del prodotto – diventa sempre più violenta. Il capitalismo è una macchina automatica che muore uccidendo, e non si fermerà se non sovvertiamo rivoluzionariamente i rapporti sociali esistenti.
3. Comunismo
Questo prossimo modo di produzione, il comunismo, non ha nulla a che vedere con l’Unione Sovietica, la Cina maoista o la Cuba di Castro e Guevara. Ciò che la controrivoluzione ha presentato come comunismo è direttamente la negazione del programma rivoluzionario che ha iniziato a svilupparsi dalla Lega dei Comunisti e dall’IWA a partire dalla lotta del proletariato, soprattutto con la grande esperienza storica della Comune di Parigi, e che Marx ed Engels hanno sintetizzato teoricamente. Non c’è stato niente di peggio per il nostro movimento rivoluzionario che la controrivoluzione si sia presentata sotto le vesti della rivoluzione e abbia rovesciato i termini, punto per punto, del comunismo. Rivendichiamo per noi quei compagni che hanno lottato fisicamente e programmaticamente contro l’opportunismo della Seconda e della Terza Internazionale e contro la controrivoluzione staliniana, e che hanno tratto dalla mezzanotte del secolo gli insegnamenti indispensabili per il prossimo assalto rivoluzionario della nostra classe: parliamo soprattutto della sinistra comunista italiana, ma anche dei precedenti contributi dei bolscevichi e di Lenin, di Rosa Luxemburg e della sinistra tedesco-olandese, nonché delle posizioni degli internazionalisti che durante la Seconda Guerra Mondiale ruppero con la Quarta Internazionale, come G. Munis, che in seguito fondò il FOR, Agis Stinas e Ngo Van.
Il comunismo è una società senza denaro, merci e proprietà privata, e quindi senza classi sociali, famiglia e Stato. L’unico modo per abolire queste categorie è la costituzione di una comunità mondiale in cui tutte le frontiere siano distrutte, la produzione sia pianificata in base ai bisogni umani sulla base delle diverse capacità dei suoi membri e il prodotto del lavoro sia distribuito secondo le loro necessità. A differenza del capitalismo, che si basa sulla produzione per il bene della produzione perché mira a un aumento permanente del valore, il comunismo è antiproduttivista, perché mira ai bisogni umani delle generazioni presenti e future. La transizione al comunismo comporterà un processo di riduzione e trasformazione della produzione e di eliminazione dello spreco permanente del consumo in questo sistema, uno dei cui elementi centrali è la separazione tra città e campagna.
Il comunismo non solo è auspicabile e possibile, ma è più che mai attuale. La causa stessa della crisi sociale ed ecologica che stiamo sempre più vivendo, l’esaurimento del valore, è la confessione che lo sviluppo umano non sostiene più l’esistenza della proprietà privata e delle sue logiche derivazioni (merce, denaro, lavoro salariato, classi sociali, famiglia, Stato). C’è sempre meno lavoro, siamo circondati da denaro senza valore, la classe capitalista sta diventando sempre più impersonale, la famiglia è in crisi permanente, lo Stato vede la sua sovranità messa in discussione sia dalle forze nazionaliste al suo interno sia dalla forza del capitale internazionale. Il capitalismo stesso sta mettendo in discussione le proprie categorie. Nessun modo di produzione nasce dal nulla, ma si costruisce sulle contraddizioni di quello precedente. Il comunismo è stato possibile per un secolo, ma oggi la sua attualità è manifesta, perentoria.
4. La rivoluzione mondiale e la dittatura del proletariato
Non è possibile trasformare le relazioni esistenti dall’interno dello Stato borghese, attraverso un lento lavoro legislativo che allarghi gli spazi di potere dei lavoratori in questo sistema. Né si possono trasformare parallelamente allo Stato, attraverso il lento lavoro sociale di costruzione di cooperative, ecovillaggi, squat e formule simili: l’autogestione è una trappola che ci fa interiorizzare lo sfruttamento capitalista con l’idea che se non c’è un padrone, non c’è sfruttamento. L’unico modo per porre fine al capitalismo è un’insurrezione violenta, in cui il proletariato crei i propri organi di potere – le assemblee di classe e l’Internazionale comunista – prenda le armi e distrugga lo Stato borghese per stabilire la propria dittatura di classe.
Il capitalismo ha una natura internazionale. Finché la rivoluzione non si diffonde in tutto il mondo, non è possibile eliminare il valore in nessun territorio: non c’è socialismo in nessun Paese. Pertanto, non è possibile porre fine all’esistenza delle classi sociali ed è necessaria una dittatura di classe. All’interno del territorio insorto, questa dittatura deve imporsi con autorità contro la reazione borghese e contro lo sviluppo dei rapporti mercantili, iniziando fin dal primo giorno con la massima riduzione e distribuzione dell’orario di lavoro, la fornitura gratuita dei mezzi di sussistenza di base, il disinvestimento nella produzione di mezzi di produzione e il loro riorientamento verso il consumo. Verso l’esterno, come unica salvaguardia contro la degenerazione del processo, l’Internazionale deve spingere con ogni mezzo per l’estensione della rivoluzione mondiale e l’estensione della dittatura di classe senza frontiere per coprire l’intero globo. A tal fine, l’Internazionale non può essere una federazione di partiti nazionali, ma un unico partito mondiale con un unico programma a cui sono subordinate le sue varie sezioni, soprattutto quelle in cui l’insurrezione proletaria è stata vittoriosa. Solo allora, avendo la rivoluzione trionfato a livello internazionale, sarà possibile porre fine al valore e, di conseguenza, alle classi sociali. Così, l’organo nato per gestire una società fratturata in classi, lo Stato, sarà consegnato alla pattumiera della storia.
5. Programma minimo e programma massimo
Il comunismo è il minimo che dobbiamo realizzare: dal primo assalto mondiale del proletariato iniziato nel 1917, preceduto dalle rivoluzioni del 1848 e del 1871, la rivoluzione comunista è materialmente possibile in tutto il mondo. Qualsiasi richiesta borghese-democratica o riformista sarà quindi contraria alla rivoluzione, perché servirà a ristabilire un sistema che dovrebbe essere già morto. Di conseguenza, i rivoluzionari non possono accogliere queste richieste come parte del loro programma minimo, se non vogliono che questo finisca per lavorare contro il loro programma massimo: la lotta per il comunismo.
Per questo motivo siamo contrari a sostenere qualsiasi movimento di “liberazione” nazionale che, per definizione, promuove la costituzione di un nuovo Stato borghese e basa la sua lotta non sul confronto tra classi, ma tra razze e nazioni, dividendo il proletariato, spingendolo a difendere gli interessi della “sua” borghesia nella lotta imperialista e confondendo l’internazionalismo con la “solidarietà tra i popoli”, cioè con il sostegno dall’estero a quella borghesia.
La difesa della democrazia, in quanto forma più caratteristica di organizzazione dello Stato capitalista, comporta sempre il rafforzamento dello stesso Stato ed è sempre contraria agli interessi del proletariato: sia che questa difesa avvenga direttamente, promuovendo la partecipazione parlamentare o le modifiche legislative, sia che avvenga indirettamente come “male minore” di fronte a una dittatura militare o fascista. Storicamente, l’antifascismo è stato una profonda sconfitta per il proletariato. Implicava la sua unione con la borghesia liberale – per la difesa dello Stato che essa stessa aveva lasciato nelle mani del fascismo – l’abbandono dell’internazionalismo e il suo utilizzo come carne da macello in una nuova guerra imperialista.
Il sindacalismo non è la stessa cosa della lotta del proletariato nei luoghi di lavoro: consiste nella specializzazione dell’attività militante nelle rivendicazioni del lavoro, portando alcuni lavoratori a costruire organismi permanenti che finiscono per autonomizzarsi dal resto e costituirsi, con maggiore o minore successo, in organismi di negoziazione – cioè di mediazione con il capitale. Che sia attraverso i sindacati o altre formule più orizzontali, il sindacalismo ha sempre implicato la tendenza a separare gli interessi immediati dei lavoratori dai loro interessi storici. Il sindacato è la forma che consolida questa separazione: poiché la sua funzione consiste nel negoziare il valore della forza lavoro con il capitale, non avrà mai interesse a lottare contro il lavoro salariato, al quale deve la sua esistenza. Se i sindacati sono contrari alla rivoluzione, non è per colpa dei dirigenti sindacali, ma per l’attività stessa che li genera di continuo.
I cosiddetti “movimenti sociali” come il femminismo, il movimento LGTBI+, l’ambientalismo, l’antirazzismo o il movimento per la casa portano sempre, in un modo o nell’altro, alla riforma dello Stato e non alla lotta contro di esso. Da un lato, perché ideologicamente separano – anche se affermano di non farlo – le loro questioni specifiche dalla lotta globale contro il capitalismo. Dall’altro, perché la loro stessa natura di fronte unito porta i militanti che vogliono onestamente la rivoluzione a lavorare con altri che sono chiaramente riformisti o moderati: un’alleanza in cui, come la sinistra comunista aveva avvertito i bolscevichi all’inizio della Terza Internazionale, chi ci rimette sono i rivoluzionari, che finiscono per plasmare la loro tattica su chi è più comprensibile, più udibile e, quindi, maggioritario in tempi di pace sociale.
Questi “movimenti sociali” non hanno nulla a che vedere con i movimenti di classe in cui, a partire dalla difesa di alcuni bisogni immediati, si produce una lotta che si diffonde a macchia d’olio ad altri settori del proletariato e ad altri territori, che generalizza il suo contenuto dal motivo che l’ha fatta scoppiare a una sfida più generale al sistema, e che fa questo generando nel processo i propri organismi d’azione – assemblee operaie, assemblee territoriali, eccetera – in cui i rivoluzionari possono svolgere un ruolo. Tuttavia, il passaggio da una lotta immediata alla sua estensione e generalizzazione in un movimento è fuori dal nostro controllo: nessuno può sapere quale sarà la goccia che farà traboccare il vaso, né può provocarla. Per lo stesso motivo, non possiamo nemmeno confondere gli organismi che il proletariato crea mentre si avvia a diventare una classe – e quindi un partito – con i gruppi e i coordinamenti che compongono i “movimenti sociali”. Concentrati come sono sulla loro lotta parziale in assenza di un vero movimento, questi non possono evolversi in altro per definizione e si ritrovano sempre nell’agitazione di un’attività cieca, che porta o all’esaurimento e alla frustrazione dei loro membri o, come spesso accade, alla ricerca di soluzioni possibiliste alle loro richieste: di nuovo, lo Stato.
6. Partito e Classe
Il comunismo non è un’ideologia, ma un fatto fisico, un movimento reale che nasce dal terreno stesso della società capitalista. Le contraddizioni di questo modo di produzione generano permanentemente antagonismi sociali che spingono le classi allo scontro molto prima che i loro protagonisti abbiano il tempo di ragionare. Così, l’avvio di una lotta immediata può essere motivato dalla volontà di un gruppo di individui, ma la sua generalizzazione in un movimento di classe è fuori dal loro controllo. Ciò non impedisce alle minoranze rivoluzionarie, in quanto parte della classe, di intervenire in tali lotte. Questo intervento sarà sempre fatto da una prospettiva programmatica per favorire la chiarificazione degli elementi essenziali della lotta al di là delle richieste concrete e circostanziali, promuovendone l’auto-organizzazione, l’estensione e la generalizzazione, il tutto a partire dallo sviluppo dell’indipendenza di classe e dell’internazionalismo. Ma la lotta di classe non si costruisce, così come non si costruisce la rivoluzione. Proprio perché l’essere sociale determina la coscienza, la coscienza non è il prodotto dell’agitazione e del proselitismo di minoranze rivoluzionarie che, con la giusta tattica e strategia, raggiungono l’“egemonia” nella classe e quindi la mettono in moto.
Per questo la rivoluzione non è una questione di coscienza, di idee, ma il prodotto di una lotta immediata e materiale che scoppia spontaneamente e che, in un processo di generalizzazione ed estensione, trasforma la coscienza di coloro che vi partecipano. In questo processo, il proletariato cessa di essere una classe in senso sociologico, una classe per il capitale, e diventa una forza sociale che si oppone alla classe dominante: nel senso di Marx, il proletariato diventa una classe e quindi un partito.
La nostra nozione di classe si differenzia quindi completamente dalla sociologia borghese. Quest’ultima intende la classe proletaria come una categoria che riunisce un insieme di lavoratori in una determinata posizione nella produzione, con un certo livello di reddito e con una serie di ideologie che vengono identificate in base al voto che ogni proletario esprime nell’urna o alla risposta che dà nelle statistiche telefoniche. Ma in assenza di movimenti di classe, la coscienza di ogni singolo proletario è diversa e soggetta al peso dell’ideologia dominante, che è l’ideologia della classe dominante – nella sua versione di sinistra o di destra. Al contrario, quando la pace sociale viene sconvolta e il proletariato lotta attraverso le proprie organizzazioni di classe, la sua coscienza tende a convergere verso la stessa direzione: quella del conflitto classe contro classe, che è un modo di esprimere il conflitto tra la forza di conservazione dell’ordine esistente e la forza di trasformazione sociale verso il prossimo modo di produzione. E in questo stesso processo genera a sua volta le proprie minoranze rivoluzionarie, il proprio partito, che sono i più determinati difensori degli interessi generali e internazionali del proletariato e che, così facendo, agiscono come fattore di chiarificazione programmatica all’interno della classe in lotta stessa. Il partito, così inteso, è il deposito teorico e programmatico che sintetizza la storia, l’esperienza, le vittorie e le sconfitte della classe.
A livello storico, si tratta di un processo di feedback permanente. I gruppi rivoluzionari sono il prodotto della lotta di classe, ma a loro volta precedono gli scoppi sociali, si sforzano di collegarsi al programma comunista – che è a sua volta il prodotto del chiarimento teorico della lotta di classe precedente, ai suoi picchi più alti – e.., quando il proletariato lotta in modo generale, agiscono dall’interno come fattore attivo e consapevole che accelera il collegamento della classe stessa al suo programma storico, per collegare la difesa dei bisogni immediati che hanno scatenato il movimento agli interessi storici del proletariato: la dissoluzione di tutte le classi attraverso la trasformazione violenta del sistema.
Questa idea di partito, a sua volta, si differenzia dalla visione leninista e da quella consiliare, che sono due facce della stessa medaglia perché entrambe intendono classe e partito come entità separate. Per la visione leninista e trotskista, che non coincide esattamente con quella di Lenin, la classe è una materia indeterminata che il partito modella iniettando coscienza dall’esterno. Per la visione consiliare, il partito è l’ostacolo burocratico che impedisce alla classe di diventare rivoluzionaria. Per noi, al contrario, esiste un’unità inscindibile tra classe e partito: il partito è un prodotto dei momenti in cui il proletariato si costituisce come classe e, a sua volta, agisce come fattore di accelerazione e di precisione della sua coscienza rivoluzionaria, cioè come organo specifico per collegare i suoi interessi immediati ai suoi interessi storici attraverso l’affermazione del programma comunista. Classe e partito non sono la stessa cosa, ma è impossibile capire l’una senza l’altro e viceversa: la rivoluzione non si costruisce, ma ogni volta che il proletariato lotta come classe genera la sua direzione rivoluzionaria, il suo partito. Così, i bolscevichi non provocarono l’insurrezione proletaria del 1917, né essa fu il prodotto del loro lento lavoro di radicamento e propaganda nelle fabbriche di Pietrogrado e Mosca, ma la loro precedente preparazione come organizzazione indipendente e la loro intransigente difesa dell’autonomia di classe e del disfattismo rivoluzionario durante la Prima guerra mondiale, permisero loro di essere un vettore di radicalizzazione e approfondimento della prospettiva rivoluzionaria della classe. Allo stesso tempo, l’ingresso in massa del proletariato rivoluzionario nel partito bolscevico permise di far prevalere il fermo impegno all’insurrezione comunista sui suoi settori più conservatori, tra cui Kamenev, Zinoviev e Stalin, che si limitarono a difendere il governo provvisorio.
Perché il partito nel suo senso storico, nel senso in cui lo abbiamo usato finora e in cui lo usa Marx nel Manifesto, non coincide con una specifica organizzazione formale. Le vicende dei partiti formali sono interrotte e spezzate da processi di degenerazione da cui nessun gruppo formale e contingente è al sicuro. La funzione delle minoranze comuniste è sempre quella di difendere e attuare il programma comunista. Questa apparente contraddizione tra partito formale e partito storico si risolve all’apertura della crisi rivoluzionaria, in cui il proletariato si costituisce come classe, produce i propri organismi d’azione e genera la propria direzione rivoluzionaria. È allora che il partito in senso storico e programmatico tende a diventare un’organizzazione formale verso la quale convergono i rivoluzionari, come vettore di centralizzazione: è il caso dello stesso partito bolscevico, che tra il febbraio e l’ottobre del ’17 quadruplica i suoi membri. Tra questi c’erano molti rivoluzionari che provenivano da altre organizzazioni formali e correnti proletarie – compreso l’anarchismo – e il cui caso più famoso è quello di Trotsky. Questo processo non ha nulla a che vedere con quello in cui l’organizzazione formale diluisce i suoi principi per crescere quantitativamente: al contrario, è il programma storico del comunismo ad agire come vettore di convergenza e centralizzazione dei rivoluzionari.
L’essere determina la coscienza e nessuno di questi processi storici può essere costruito o provocato dalla volontà delle minoranze rivoluzionarie. La rivoluzione non si costruisce, si guida. Per lo stesso motivo, il partito non si costruisce, si guida. Eppure è nelle crisi rivoluzionarie che la volontà e la coscienza contano più che mai. È in processi come questo, in cui la classe e i rivoluzionari tendono a convergere verso la lotta per il programma comunista, che può verificarsi l’inversione della prassi: l’accumulo delle contraddizioni materiali del capitalismo provoca l’esplosione rivoluzionaria, ma una volta aperta sarà la chiarezza programmatica e la volontà organizzata nel partito mondiale a determinare la vittoria della rivoluzione, così come saranno la coscienza e la volontà collettive a iniziare a determinare le relazioni sociali nel passaggio al comunismo. Il comunismo, infatti, è la prima società che produce e riproduce consapevolmente la propria vita secondo un piano per la specie e in cui gli esseri umani sono padroni della propria vita sociale.
7. Situazione attuale e compiti dei rivoluzionari
Poiché la rivoluzione, la classe e il partito non sono il frutto della costruzione consapevole di una serie di individui, ma fenomeni materiali, fisici, prodotti dalle contraddizioni di questo modo di produzione, la comprensione del periodo storico in cui si lotta è un elemento fondamentale per i rivoluzionari.
Il nostro è il momento dell’esaurimento del capitale come relazione sociale, il momento in cui il valore sta storicamente raggiungendo i suoi limiti interni. Le crisi economiche si approfondiscono e si intensificano, la miseria sociale aumenta in termini assoluti, i mezzi di sussistenza di base (cibo, casa, elettricità, trasporti, ecc.) diventano sempre più costosi mentre l’offerta di lavoro si riduce e diventa sempre più precaria, le catastrofi ambientali si susseguono, emergono nuove crisi sanitarie, i conflitti imperialisti si acuiscono, le potenze capitaliste si preparano alla prossima grande guerra. In questo contesto, scoppiano e continueranno a scoppiare movimenti di classe sempre più intensi, poiché le contraddizioni che li fanno scoppiare sono irrisolvibili per il capitale che, nel suo esaurimento, sta riducendo la stessa base materiale del riformismo.
Tuttavia, queste esplosioni si verificano ancora in assenza di una prospettiva emancipatrice. Ciò è dovuto alla profonda frattura storica provocata dalla controrivoluzione staliniana, i cui momenti più bui si sono verificati tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta. In questi anni, consacrati sull’altare sacrificale della Seconda guerra mondiale, il significato di parole come comunismo, internazionalismo o indipendenza di classe è diventato il loro contrario, mentre i rivoluzionari che non sono stati uccisi o hanno disertato per Mosca o Washington si contano sulle dita di una mano. L’ondata di lotte che si è risvegliata in tutto il mondo tra gli anni ’60 e ’80 avrebbe avviato il lento processo di erosione della controrivoluzione e, dopo il riflusso degli anni ’90, ci troviamo all’inizio di questo secolo con una situazione anfibia, tipica di un momento di cerniera tra la controrivoluzione e l’apertura di una nuova fase di ripresa rivoluzionaria. Anfibia: con il disorientamento storico e programmatico lasciato dall’erosione della controrivoluzione, non accompagnato immediatamente da una restituzione rivoluzionaria del programma, e con la potenza sociale della ripresa della lotta di classe quando il capitalismo sta esaurendo i proiettili per incanalarla.
I compiti dei rivoluzionari sono sempre gli stessi, ma acquistano una diversa priorità a seconda del periodo storico in cui si trovano. Non può essere lo stesso in un periodo di lotta di classe aperta o in una situazione rivoluzionaria, dove il fulcro della nostra attività è intervenire in combattimento, promuovere l’auto-organizzazione del movimento e la sua autonomia dalle forze di recupero, promuovere la centralizzazione delle correnti rivoluzionarie a livello internazionale e organizzare l’insurrezione armata per la distruzione dello Stato borghese, che in un periodo di controrivoluzione, dove il nostro lavoro si concentrerà sul bilancio della sconfitta e sul mantenimento del programma, senza smettere di partecipare alle lotte del proletariato che tendono a superare il quadro esistente. Nei tempi di transizione che stiamo vivendo, dove la caratteristica è il disorientamento programmatico degli sconvolgimenti sociali che comunque si stanno verificando con sempre maggiore intensità, il lavoro di chiarificazione e difesa delle posizioni rivoluzionarie continua a essere l’elemento chiave. A questo si aggiunge la ricerca di contatti e discussioni con le minoranze rivoluzionarie di altri territori, insieme alla partecipazione ai movimenti di classe che si possono scatenare, al lavoro di critica delle illusioni riformiste che essi nutrono e al rafforzamento della loro autonomia di classe rispetto ai sindacati e ai partiti borghesi.
Ci troviamo in una fase molto iniziale e quindi molto confusa di quello che crediamo sarà il prossimo impeto rivoluzionario. C’è ancora molta strada da fare prima che il proletariato riprenda in mano il suo programma in modo attivo e consapevole, ma l’agonia di questo modo di produzione non lascia molta scelta. In questo processo, spetta a noi rivoluzionari del presente essere una parte pienamente attiva del proletariato nei momenti decisivi di confronto che si verificheranno, lottando senza compromessi affinché la nostra classe si riappropri del suo programma e lo metta in atto attraverso l’unica pratica umana che è immediatamente teoria: la rivoluzione.
Elenco dei testi citati
- Barbaria: Determinismo y revolución
- Barbaria: ¿Interseccionando el capitalismo?
- Barbaria: Fetichismo de la mercancía
- Rosa Luxemburg: La questione nazionale
- Barbaria: Raza, racismo, racialización: una perspectiva comunista
- Barbaria: El porqué del derrotismo revolucionario
- Barbaria: Mujer, patriarcado y capitalismo
- Barbaria: [Charla] La austeridad será verde. Sobre el Green New Deal y la catástrofe capitalista
- Barbaria: El estalinismo: bandera roja del capital
- Barbaria: Apuntes sobre el comunismo como movimiento real
- Barbaria: Robin Hood en el bosque del capital
- Barbaria: El capitalismo de Stalin
- Vercesi: La questione dello Stato
- Amadeo Bordiga: Il programma rivoluzionario immediato
- Barbaria: Sobre la decadencia del capitalismo, la revolución permanente y la doble revolución
- Jacques Camatte: La mistificazione democratica
- Sinistra italiana: Fascismo e antifascismo: due facce della stessa moneta
- Munis: Los sindicatos contra la revolución
- Barbaria: Por qué no somos feministas
- Barbaria: El decrecentismo y la gestión de la miseria
- Barbaria: El pasado de nuestro ser
- Barbaria: Catástrofe capitalista y teoría revolucionaria
- Roger Dangeville: Introducción a Marx-Engels: «Le parti de classe»
- Barbaria: [Audio] La relación entre clase y partido
- Jacques Camatte: Origine e funzione della forma partito
- Amadeo Bordiga: Teoria e azione nella dottrina marxista
- Barbaria: Diez notas sobre la perspectiva revolucionaria
- Barbaria: La tierra en la crisis del valor
- Barbaria: Las pandemias del capital
- Amadeo Bordiga: Considerazion sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole